circeo e sperlonga

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martedì 2 giugno 2015

UNO SGUARDO DALL'ALTO - 3000 anni di storia e belle storie da raccontare


In questo territorio non si sono fatti mancare nulla. Sono stati ritrovati i resti dell’uomo di Neanderthal di 51.000 ani fa, che, probabilmente, era cannibale, c’erano civiltà italiche pre-romane e pre-storiche (da Norba al Circeo), gli imperatori ci hanno fatto la loro residenza (ad Anzio e a Sperlonga), ci sono passati i fenici, i greci, gli spartani, i monaci cistercensi (San Tommaso d'Aquino c'è voluto anche morire), i pirati saraceni, gli eserciti francesi e spagnoli. 
I viaggiatori di tutto il mondo l’hanno usata come tappa del Grand Tour (Terracina ha più illustrazioni di Praga), cercando di sfuggire ai briganti (Fra Diavolo era di queste parti). Poi c’è la stata la bonifica, la pacifica invasione di coloni (soprattutto veneti). C’è stato uno sbarco e la guerra più brutta, comprese le violenze sui civili e donne ricordate da film come La Ciociara. Infine il boom del turismo, l’arrivo dei turisti scandinavi, e poi l’abusivismo degli anni ’60 e ’70. Ci sono passati tutti. Ora tocca a voi. E non accontentavi dei soliti percorsi.


Gaeta, la grotta del Turco
Ventotene
Sperlonga, borgo
Kite Surf a Salto di Fondi
Promontorio del Circeo

- Le Piscine della Verdesca costituiscono una delle poche aree ancora stagionalmente allagate della foresta

Parete free climbing Norma

Gaeta Vecchia, il castello e il Duomo

 l'ultimo lembo di Sperlonga e la pana di Sant'Agostino
La grotta di Pastena
La grotta di Pastena
I vivai aumenta sull'Appia
gli eucaliptus della bonifica pontina

Il lago di Fogliano

La casa di Fra Diavolo a Sonnino
La pineta di Foce Verde Torre Astura

Il porto di Anzio

L'Abbazia di Fossanova

Il borgo medioevale di Sermoneta

La grotta delle capre al circeo con i resti dell'uomo di Neanderthal

Fondi, castello baronale

Cori

La piazza di Lantina

Il monumento naturale di Camposoriano


Fonte Sant'Angelo

Il lago di Fondi

L'abbazia di Fossanova e il borghetto

Gaeta la Montagna Spaccata

Circeo La Grotta delle Capre

Terracina e la via Appia

Il razionalismo di Sabaudia

Mote San Biagio

Oasi e giardino botanico di Ninfa

Torre Paola a Sabaudia

San Felice Circeo e il castello templare

Museo di Pian delle Orrme

Il Monte Circello e Sabaudia
Segni Porta Saracena  


La spiagia di Sabaudia verso la bufalara

La madonna della Sorresca, Sabaudia

La Piazzetta di Sperlonga

La costa dopo Sperlonga

La grotta di Tiberio a Sperlonga

La sughereta a Monte San Biagio

Torre Astura
Lo sguardo dal Norma

Castello di Sermoneta


 

 Cala Tramontana a Palmarola, la Cattedrale
Doganella di Ninfa
Domus e terne, Priverno
Museo del Brigantaggio, Itri
museo Emilio Greco. Sabaudia

Foresta del Parco Nazionale del Circeo
Abbazia Valvisciolo
Cinecittò World
Le montagne che sovrastano Fondi

Il Lago di Fondi dalle rovine del castello di Monte San Biagio
Asta del Pesce a Terracina
Arrivo del Pesce a Gaeta
Porto Badino
Il lungomare di Sabaudia in inverno
Via Appia Antica, Sperlonga
Cimitero Americano a Nettuno
Casa del Martirio di Maria Goretti
Ventotene
Il santuario della Montagna Spaccata, Gaeta
Borgo Pratica di Mare
Spiaggia della Bufalara nel tratto della strada interrotta
Villa Inglese Caetani, sul lago di Fogliano
L'Area Protetta Gianola e Monte di Scauri

L'Area Protetta Gianola e Monte di Scauri
Cava di Monticchio e torre petrara
Torre Capolento, area protetta, Sperlonga
Fondi Monastero di San Magno
Vallecorsa
I Monti Ausoni dietro Fondi e Terracina
Terracina Tempio di Giove Anxur

Ponza, Chiaia di Luna

Idrovora di Mazzocchio, Fossanova

Museo Nazionale di Sperlonga

Ventotene
Cascate Isola del Liri
Valle dell'Amaseno
Il Faro di San Felice Circeo
San Felice Circeo centro storico

Priverno
Palio di Priverno

Castell San Martino a Priverno, che ospita il Museo della Matematica
Spiaggia 300 Gradini, Gaeta
Spiaggia di Sperlonga


Giardini della Landriana














Cima del Monte Nibbio, Ausoni, 1050 mt


Queste le cose belle, che vi invitiamo a scoprire. Perché stanno lì e rischiate di perdervele. Quelle brutte sono solo merito dell'ignoranza, dell'abusivismo, del cattivo governo, della corruzione. Case costruite sulla spiaggia e sulle dune, casali distrutti, centri storici assediati da case di architettura miserabile, appalti truccati, gestione infame della nettezza urbana, infiltrazione della camorra e della malavita pontina, pigrizia mentale di molti residenti. Ma di questo parlerà in seguito. Facciamo ora un passo indietro.

LA PIANURA PRIMA DELLA BONIFICA


Le Paludi Pontine all’inizio del XX secolo erano per antonomasia la zona della malaria, la terra della morte, il paradiso degli uccelli, il luogo della poesia e della natura primitiva, il regno dei bufali a seconda degli interessi delle persone che le visitavano. In ogni caso era forse l’unico tratto costiero della penisola italiana, circa 60 km, nel quale per molti secoli la presenza umana era stata scarsa se non inesistente. Nelle Paludi Pontine vivevano poche migliaia di persone, sparse in piccoli gruppi, che praticavano l’allevamento del bestiame soprattutto ovini, bovini e suini. Durante i caldi mesi dell’estate gli abitanti della palude diminuivano in modo drastico, lasciando le loro abitazioni e ritornando ai paesi di origine. Con l’arrivo dell’autunno rientravano nuovamente in palude: un vero e proprio seminomadismo, 9-10 mesi in palude e 2-3 mesi in montagna.

La bonifica idraulica e la successiva bonifica agricola, messe in essere dal governo fascista, in appena un decennio portarono alla totale trasformazione delle Paludi Pontine, cancellando secoli di usanze, di abitudini, di utilizzo del territorio, espellendo i pochi abitanti indigeni e favorendo l’immigrazione di popolazioni provenienti per lo più dall’Italia settentrionale (Romagnoli, Emiliani, Veneti, Friulani, ecc).

Il governo fascista impegnò tutte le sue migliori energie per la buona riuscita della bonificazione delle terre pontine, utilizzando i più bravi ingegneri idraulici, i più capaci agronomi, i medici, gli intellettuali più famosi, gli archeologi ed anche gli antropologi. Così il giovane, ma già affermato, antropologo Mario De Mandato nel 1933 pubblicò il libro La primitività nell’abitare umano, nel quale un lungo capitolo è dedicato proprio all’Agro Pontino. Nelle zone più alte delle paludi e su appositi spiazzi disboscati, conosciuti con il nome di léstre, vivevano in semplici capanne pastori, legnaioli, carbonai, allevatori di bestiame. i quali potevano utilizzare per una elementare agricoltura anche piccole aree. Purtroppo tutta o quasi tutta la popolazione che viveva per gran parte dell’anno nelle léstre era malarica. Coloro che dormivano occasionalmente in palude nel periodo estivo non disponevano di capanne, ma utilizzavano la lógge, tipica palafitta delle Paludi Pontine, che aveva la duplice funzione di controllo del terreno coltivato circostante e di riposare a circa tre metri di altezza (a cura di Luigi Zaccheo)









Una leggenda vuole che la palude fosse opera della dea Giunone che volle punire così la ninfa Feronia che qui viveva e che era una delle tante amanti di Giove. Non credo che sia così.

LA PIANURA DOPO LA BONIFICA

 
 




Illuminante per capire il territorio il libro di Antonio Pennacchi, storia di una famiglia nell'epopea della bonifica



Terracina − terra di briganti, tappa prediletta dai

grand-turisti (Clemens Arts)


Questo amalgama di stereotipi e di meccanismi frutto del ‘tourismo’ in Italia negli ultimi secoli può essere analizzato più dettagliatamente e in modo più concentrato, mettendo in luce una tappa obbligatoria nell’itinerario del Grand Tour,  in particolare sul tragitto Roma-Napoli: Terracina.  Infatti, chi lasciava la città eterna per andare a sud lungo la Via Appia trovava, una volta superate le paludi pontine, attraversate preferibilmente di notte e rimanendo svegli fumando sigari in continuazione – tutto ciò per scansare la pericolosissima malaria - giungeva nella ridente cittadina portuale e balneare (che per lunghi secoli era anche città di frontiera tra lo Stato Pontificio e il Regno di Napoli, in questo senso idoneo luogo di passaggio per giungere nel meridione con tutte le sue promesse di bontà e felicità).
Innumerevoli viaggiatori famosi e meno si entusiasmarono quando, giunti a Terracina dopo la faticosa traversata dell’Agro Pontino, si trovavano finalmente davanti una vegetazione opulenta e un paesaggio veramente mediterraneo. Chi, come Goethe, esultava davanti ai fichi d’India, ai melograni e agli aranci, chi, come Johann Gottfried Seume, davanti alle palme e agli albicocchi e chi, come Chateaubriand e Hans Christian Andersen, davanti al mare, al cielo blu e alla spettacolare luce dell'aurora sopra le montagne.
Se non bastassero questi doni naturali a sottolineare il carattere privilegiato di Terracina come tappa irrinunciabile del Tour, si potrebbe ricordare inoltre che leggendariamente in questa striscia di terra, con il vicino Monte Circeo che domina il panorama, la maga Circe esercitò il suo incanto e essendo dunque un luogo di azione dell’Odissea questa ‘Riviera di Ulisse’, come l’ha battezzata il settore turistico locale, si colloca per forza all’origine stessa della letteratura odeporica occidentale. E la città di Terracina – ‘Tarracina’, come dicevano gli etruschi e i romani, o ‘Anxur’, nella lingua dei volsci – vi si trova a maggior ragione perché occupa una posizione eminente (‘subimus / impositum saxis late candentibus Anxur’) anche nel famoso resoconto che Orazio fece del suo viaggio a Brindisi, vero e proprio diario di viaggio..
Ma non è tutto oro quello che luce e lo statuto di cittadina di frontiera conferisce a Terracina, località decrepita e puzzolente di acqua stagna, anche un carattere più cupo, fatto di letargia provinciale e di lungaggini burocratiche. La sua posizione tra le paludi pontine da un lato e foreste e montagne dall’altro ne fa un luogo ideale di sosta quasi obbligatoria. Il suo ruvido retroterra, specie lungo la strada verso Napoli passando per Fondi e Itri, era famigerato per essere infestato da bande di contrabbandieri e di briganti, i cui capi in epoche diverse erano divenuti molto noti, ad esempio Giuseppe Mastrilli (prima metà del Settecento), Michele Pezza, alias Fra Diavolo (fine Settecento), Alessandro Massaroni (inizio Ottocento) e Antonio Gasbarrone o Gasparoni, che tutti vantavano, chi più chi meno, la fama di ‘rubare ai ricchi per dare ai poveri’. A parte l'effettivo pericolo che essi potevano comportare per i grand-turisti, le storie di briganti esercitavano anche un particolare fascino sui viaggiatori, che durante le lunghe serate nelle locande avevano
ampiamente occasione di scambiarsi esperienze dirette o riportate di questo tipo di incontri.

Uno dei campionari più famosi e più comici di avventure di briganti è quello che lo scrittore statunitense Washington Irving incluse nei suoi Racconti di un viaggiatore (Tales of a Traveller) del 1824 sotto il titolo ‘The Italian Banditti’ la cui cornice narrativa è costituita da una tale scena di viaggiatori radunati per raccontarsi storie nella grande sala un po’ sporca della locanda di posta a Terracina.
L’umorismo di questi racconti sta nel gioco sottile con le immagini preconcette cui ho accennato prima, come quella del viaggiatore inglese diffidente, brontolone, ‘profoundly ignorant of the country and the people, and devoutly certain that every thing not English must be wrong’ e soprattutto quella del brigante, violento, raccapricciante, ma nel contempo pittoresco e romantico. Così, nel racconto dedicato alla famiglia Popkins, la cui carrozza viene brutalmente saccheggiata da una banda di rapinatori:

A sad ransacking took place. Trunks were turned inside out, and all the finery and frippery of the Popkins family scattered about the road. Such a chaos of Venice beads and Roman mosaics, and Paris bonnets of the young ladiesmingled with the alderman’s night caps and lamb’s wool stockings, and the dandy’s hair brushes, stays, and starched cravats. The gentlemen were eased of their purses and their watches; the ladies of their
jewels, and the whole party were on the point of being carried up into the mountain when
fortunately the appearance of soldiery at a distance obliged the robbers to make off with the spoils they had secured, and leave the Popkins family to gather together the remnants of their effects, and make the best of their way to Fondi.

Mentre il padre all’arrivo fa una terribile scenata minacciando di fare reclamo ufficiale all’ambasciatore inglese a Napoli, le sorelle Popkins hanno un apprezzamento ben diverso della loro avventura:

As to the Misses Popkins, they were quite delighted with the adventure, and were occupied the whole evening in writing it in their journals. They declared the captain of the band to be a most romantic looking man; they dared to say some unfortunate lover, or exiled nobleman: and several of the band to be very handsome young men – ‘quite picturesque’.

Oppure nel racconto del pittore, che dopo essere caduto tra le mani di temibili briganti offre al loro capobanda di fargli il ritratto e quest’ultimo, lusingato, da feroce e cattivo si trasforma in un galantuomo del tutto affabile, un uomo in fondo buono che per i fatti della vita si è visto costretto a darsi alla macchia, o come dice Irving, usando il termine a suo dire ‘tecnico’ italiano ‘andare in Campagna’. Con Irving prende forse inizio il ricco filone comico nell’odeporica, in cui per esempio si inserirà subito per esempio anche Heinrich Heine, con i suoi spesso esilaranti Quadri di viaggio (Reisebilder). Infine, per quel che riguarda più specificamente Terracina in questo filone comico va assolutamente menzionata l’opéra-comique in 3 atti di Daniel-François-Esprit Auber su libretto di Eugène Scribe, creata il 28 gennaio 1830 a Parigi con il titolo di Fra Diavolo ou l’Hôtellerie de Terracine che riprende quello di un capitolo di Washington Irving (‘The Inn at Terracina’)

Un altro scrittore, grande viaggiatore e conoscitore dell’Italia, che fu particolarmente affascinato dal mito dei briganti, fu Stendhal, autore tra l’altro di guide turistiche che sono tra le prime propriamente moderne: Roma, Napoli e
Firenze e Passeggiate Romane. Infatti, come ha anche plausibilmente azzardato Roberto Calasso, in quanto ‘non pretenda di dire come le cose sono racconta la sensazione che gli hanno dato’ ponendosi dunque volutamente e coscientemente come istanza soggettiva, Stendhal arriva a relativizzare e a rodere dall’interno i vari stereotipi e pregiudizi e così facendo a inventarsi immagologo ante litteram.
I riferimenti a Terracina non mancano nell’opera di Stendhal, né nella parte narrativa che in quella più strettamente odeporica. Nella maggior parte dei casi il contesto è quello del brigantaggio per cui la zona era, come si è detto, infaustamente reputata. La già menzionata locanda di Terracina fu però anche il teatro di un incontro fortuito o forse anche solo immaginario tra il 1816 e il 1817 fra Henri Beyle, il vero nome di Stendhal, e Gioacchino Rossini, già allora acclamato genio della musica. I due uomini, che non si erano mai ritrovati insieme, vanno d’accordo e passano una bella serata che Stendhal non esita a descrivere nei termini più esaltati eppur intrisi di malinconia:


Nous restons à prendre du thé jusqu'à minuit passé : c’est la plus aimable de mes soirées

d’Italie, c’est la gaieté d’un homme heureux. Je me sépare enfin de ce grand compositeur,

avec un sentiment de mélancolie. Canova et lui, voilà pourtant, grâce aux gouvernants, tout ce que possède aujourd’hui la terre du génie. Je me répète, avec une joie triste,  l’exclamation de Falstaff: ‘There live not three great men in England; and one of them is poor and grows old.








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